AL TEATRO BABILONIA DI MOLFETTA GIACOMO DIMASE IN “SPAIDERMEN”
Molfetta. Lo spettacolo fa parte della rassegna Trame Contemporanee e andrà in scena lunedì 8 luglio
Molfetta. Oggi vi proponiamo il racconto e l’esperienza di Cristina Reyes, giornalista e volontaria del Progetto ERASMUS +
“È difficile andare in un altro paese, iniziare una nuova vita da zero, lasciando dietro la propria famiglia, gli amici e praticamente, ma per chiari motivi non ci sono altre alternative che andare via e cercare fortuna altrove. Arrivano dall’Africa (Nigeria, Senegal, Ghana, Gambia, Costa d’Avorio, Libia, Somalia) e Asia (Afghanistan, Pakistan). Alcuni di loro partono per fuggire da guerre e persecuzioni o dalla miseria. Ognuno si porta una storia alle spalle che solo lui conosce, ma adesso prova a cambiare la propria vita.
Quindi alcune associazioni si preoccupano di sostenere queste persone che si sentono un po’ perse all’inizio e cercano di coinvolgerle nella vita sociale. Poi ci sono persone (insegnanti in pensione, volontari della Croce Rossa e giovani volontari del programma Erasmus+) con la voglia di insegnare loro la lingua e di rendere più facile la permanenza in Italia. E’ nato così il ‘laboratorio d’italiano’ presso Comitando. Il laboratorio nasce dalla volontà del forum Molfetta Accogliente di collaborare attivamente con il progetto Sprar (Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati), un progetto di seconda accoglienza per richiedenti e titolari di protezione internazionale istituito dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Viminale e gestito dall’Anci (l’associazione dei Comuni italiani). Il Comune di Molfetta ha aderito alla rete Sprar lo scorso anno e attraverso un bando pubblico ha affidato la gestione del progetto alla Cooperativa Oasi 2 di Trani, di cui Gissi Luisa, laureata in Filosofia e con un master sull’Immigrazione, fa parte.
Gissi spiega che lo Sprar “è stato inizialmente predisposto per 25 persone, dal 1° gennaio le persone accolte saranno 30. Gli ospiti vivono in 5 appartamenti in diverse zone molto centrali della città. L’obiettivo finale è che ciascuno raggiunga la propria autonomia attraverso l’interazione con il territorio”. L’equipe di lavoro è formata da uno psicologo, un’assistente sociale, un educatore, un operatore legale, ecc… I servizi offerti comprendono l’assistenza primaria (vitto e alloggio) ma soprattutto l’orientamento (sanitario, formativo, scolastico, professionale, legale, ecc…).
Aggiunge,“Chi entra in uno Sprar ha già un documento, come richiedente asilo, rifugiato, titolare di protezione sussidiaria o umanitaria ma soprattutto ha già vissuto in Italia l’esperienza di un centro di prima accoglienza”. A seconda del caso questa esperienza può durare sei mesi o addirittura due anni, prima di poter accedere allo Sprar e passare dunque alla seconda accoglienza. Nel primo periodo fondamentalmente si attende l’esito della domanda di protezione internazionale.
“Qualcuno riesce a imparare un po’ l’italiano. Solo in seconda accoglienza si può accedere a percorsi formativi istituzionalizzati, tirocini, contratti di lavoro, contratti di affitto per un’autonomia abitativa legale”, afferma Luisa.
Molti degli immigrati hanno voglia d’imparare l’italiano perché sanno che, per cercare lavoro, questo è fondamentale. Così ci mostra Seckou, uno dei beneficiari molto impegnato nell’apprendimento della lingua, il quale ha sempre un sorriso sulla faccia. La motivazione non gli manca. Ma l’integrazione non è così facile come sembra, poiché molti arrivano senza sapere nulla della lingua Italiana o non sono scolarizzati, inoltre arrivano in un paese sconosciuto dove devono iniziare da zero. Quindi, la lingua non smette di essere una barriera anche se alcuni di loro riescono a parlare l’inglese o il francese oltre alla propria lingua madre. Un’altra difficoltà che si trovano ad affrontare è una sorta di razzismo, molti italiani capiscono la situazione ma “altri si fanno spaventare dal colore della pelle e vedono lo straniero come un nemico”, sottolinea Luisa. Per quanto riguarda l’integrazione, a Luisa non piace questa parola “perché sembra voler dire che loro arrivano e devono diventare come noi. Mi piace di più la parola interazione, che vuole dire che lo scambio è reciproco, è un rapporto tra persone che prescinde dalla nazionalità”.
Così, il laboratorio d’italiano gioca un doppio ruolo che vede l’incontro fra insegnanti italiani in pensione, immigrati ed altri volontari. E’ insieme che si crea uno spazio dove tutti sono benvenuti e possono condividere esperienze, imparando reciprocamente e conoscendo più a fondo il background di ognuno in un ambiente informale. Questo è un progetto che rafforza le competenze acquisite a scuola. Inoltre, aiuta a conoscere meglio le diverse culture e a cooperare tutti insieme.
Infine è importante evidenziare soprattutto il lavoro che questi volontari fanno senza ricevere nulla in cambio o forse tantissimo: la soddisfazione di accompagnare persone che lottano per un futuro migliore con la consapevolezza di aver lasciato una vita intera alle spalle”.
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