STORIE DI MIGRANTI MOLFETTESI: I PEZZI DI CUORE DI MONSIGNOR GIUSEPPE DE CANDIA

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Molfetta. Don Giuseppe racconta la sua esperienza al servizio delle diverse comunità molfettesi che sono nate nel secolo scorso in tutto il mondo a causa della necessità di emigrare

molfettadongiuseppecontent15022Don Giuseppe de Candia è una forza della natura. Ha 90 anni compiuti da poco, il caro don Giuseppe, ma non li dimostra. Entro in chiesa, sento la musica provenire dall’organo con oltre 1500 canne, ma non vedo nessuno. Sono indecisa se chiamare don Giuseppe e avvisarlo del mio arrivo, ma quella musica mi piace, mi alleggerisce e rimango ancora qualche minuto ad ascoltarla. Poi vedo spuntare dalla sacrestia due operai e allora mi avvicino e chiedo loro dove posso trovare don Giuseppe. Uno dei due operai, gentilmente e a bassa voce, quasi per non interferire con quella musica soave, mi indica don Giuseppe «è laggiù, sta suonando l’organo».

Mi avvicino pian pianino, lo saluto timidamente e lui mi fa cenno di avvicinarmi. Con una mano continua a suonare, l’altra la tende verso di me per stringermela. Ci presentiamo e mi chiede di accomodarmi. La mia emozione non è quantificabile, perché ho davanti a me un pilastro della storia della nostra città.

Da quel lontano 1956, quando Mons. Achille Salvucci lo nominò sacerdote, don Giuseppe ha percorso infinite strade e vissuto in modo straordinario la sua chiamata, ma tra i tanti incarichi e impegni che ha svolto nella sua vita sacerdotale ce n’è uno che ha mosso particolarmente la mia curiosità. Don Giuseppe infatti è parroco e delegato regionale della Fondazione Migrantes, un organismo pastorale della Conferenza Episcopale italiana che ha il compito di seguire e servire le comunità di emigrati italiani nei momenti religiosi. Don Giuseppe ha raccontato questa stupenda esperienza commuovendosi e commuovendomi con le tante storie di migranti molfettesi che ha incontrato nei suoi numerosi viaggi proprio con la Commissione Pastorale.

L’Italia, si sa, è stata ed è tutt’ora una terra che ha visto partire moltissimi suoi figli per cercare fortuna, per avere qualche pezzo di pane in più. Molfetta non è da meno. C’è molto nella nostra città che parla di migrazione. Non vi è famiglia molfettese che non abbia una storia da raccontare. Anche la toponomastica ci ricorda che Molfetta ha tanti concittadini dislocati un po’ in tutto il mondo. Diverse infatti sono le strade dedicate ai nostri emigrati: via Fremantle, via Molfettesi d’America, via Molfettesi d’Argentina, via Molfettesi del Venezuela.

Lo stesso don Giuseppe ha nella sua famiglia una storia di emigrazione, racconta infatti che nel 1964, dal porto di Napoli vide partire per l’America sua sorella, con le tre nipotine: «Quando le vidi andar via, mi pianse il cuore, anche perché questa sorella era stata per me una mamma. Da questa esperienza personale si è poi sprigionata l’esigenza di andare incontro ai pezzi di cuore di Molfetta sparsi per tutto il Mondo».

E così fu. Nei primi anni ’80 don Giuseppe fondò insieme ad altri concittadini, tra cui il dott. Rodolfo Caputi, l’Associazione Molfettesi nel Mondo e qualche mese dopo arrivò in città don Tonino Bello nominato vescovo di Molfetta, di cui don Giuseppe fu segretario e grande amico. Insieme i due sacerdoti compiranno diversi viaggi finalizzati al recupero dei pezzi di cuore molfettesi e pugliesi.

Tantissimi sono i Paesi che don Giuseppe ha visitato, le storie di emigrati che ha conosciuto e gli aneddoti legati a questi incontri come quello della vecchietta molfettese. «Eravamo in Australia, bussiamo alla porta di questa famiglia di origini molfettesi, e mi sento dire in anglo – molfettese: “vieni nel giardino”. Entro e questa vecchietta mi riconosce e mi dice i nomi dei miei parenti, di mia nonna, di mio nonno, di mia madre. Allora io le ho chiesto come avesse fatto a riconoscermi perché lei era molto più anziana di me ed era emigrata in Australia prima che io nascessi. “T’assmighj tutt a mammà, lei mi disse».

E don Giuseppe continua con un’altra storia, questa volta accaduta in Argentina, a Mar del Plata, una delle città con un’altissima presenza di emigrati pugliesi. «Ho lasciato il cuore a Mar del Plata. Ricordo il giorno in cui arrivammo, c’era un tempo bruttissimo, il mare in tempesta e nel porto c’erano le piccole barche gialle, tutte coperte dai leoni di mare. Passeggiavo con Giovanni, un signore di 80 anni che mi prende sottobraccio e mi dice: “don Giuseppe, ti voglio chiedere un favore, ti do il resto della mia vita, basta che mi fai sedere cinque minuti sul molo pennello di Molfetta”».

E tante altre storie di pezzi di cuore mi ha raccontato don Giuseppe, storie che non dovrebbero perdersi, che dovremmo conoscere, perché ci appartengono anche se narrano di persone lontane nel tempo e per distanza. E poi in fondo il tema dell’emigrazione è piuttosto attuale, anche se noi italiani, noi molfettesi, di sovente non riusciamo a riconoscerci nelle vicende di chi scappa dal proprio Paese per fuggire alla guerra, alla povertà, alla fame, per gli stessi motivi che spinsero gli italiani e i cari concittadini molfettesi ad abbandonare la loro terra, i loro affetti.

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