INTERVISTA A GIUSEPPE COSTANZA NON UN EROE MA UN UOMO CHE HA ABBATTUTO IL MURO DI GOMMA

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Molfetta. Giuseppe Costanza è stato l'autista e uomo di fiducia di Giovanni Falcone. Sopravvissuto alla strage di Capaci e ignorato per anni dalle Istituzioni ha deciso di abbattere il muro di gomma e da diversi anni gira per le scuole di Italia per raccontare la sua verità
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Si è svolto ieri pomeriggio presso l’Auditorium Madonna della Rosa “Oltre la memoria, Capaci di coraggio e di impegno” evento che fa parte dell’ambito del percorso di legalità intrapreso da quasi dieci anni tra il Liceo Classico L. da Vinci e l’Associazione Avvocati Molfetta e AIGA di Trani.

Ospite dell’evento un uomo di eccezione, Giuseppe Costanza. Unico autista e uomo di fiducia di Giovanni Falcone per otto anni, dal 1984 al 23 maggio del 1992. Quel giorno Costanza era dentro l’auto guidata da Falcone, che saltò in aria con il tritolo. Eppure da quel giorno Costanza ha subito una sorta di emarginazione e pochi lo ricordano come vittima. Dopo quel terribile 23 maggio di Costanza nessuno ne ha più parlato. Pesino lo Stato che ha servito con dovere, gli ha voltato le spalle, lasciandolo scivolare, come solo in Italia si sa ben fare, nel dimenticatoio.

Per fortuna quest’uomo, questo testimone di uno dei capitoli più bui della storia d’Italia, ha deciso dopo tante vessazioni subite di sfondare il muro di gomma. Così da anni Giuseppe Costanza gira l’Italia per raccontare soprattutto ai ragazzi, al futuro, la verità.

Da Nord a Sud la missione di Giuseppe è quella di seminare attraverso la sua testimonianza, il suo ricordo di Giovanni Falcone, l’onestà e la legalità, valori necessari per formare le nuove generazioni e debellare le mafie.

Costanza prima di incontrare i ragazzi ha rilasciato un’intervista esclusiva in cui si racconta

non come un semplice autista, ma come persona di fiducia di uno degli uomini più grandi del nostro amaro Bel Paese.

Che ricordo ha di Giovanni Falcone?

«Di Giovanni Falcone ho un bel ricordo, perché era una persona eccezionale. Un magistrato di quelli super che ho avuto l’onore di conoscere e con cui ho lavorato per otto anni. Fui selezionato da lui stesso, per diventare il suo autista. Per me fu molto strano quando mi chiese, con molto garbo, se ero disposto e disponibile a guidare la sua auto. Mi resi conto subito dopo del perché di quella domanda, inizialmente strana. Ogni volta che ci mettevamo in auto il rischio era palpabile.

Quando ci mettevamo sulla strada, anche in città, oltre alla nostra macchina viaggiavano altre tre blindate: l’auto apri corteo, l’auto chiudi corteo e l’auto civetta. L’auto civetta era un mezzo senza insegna militare, ma con i militari a bordo che percorreva la strada prima di noi. In più c’era anche l’elicottero che ci osservava dall’alto.

Capii qualche giorno dopo l’inizio di questo nuovo lavoro il perché lui mi chiese se ero disponibile a guidare la sua macchina. Importantissimo questo. Solo personaggi di un certo livello hanno questa preparazione e sensibilità umana e culturale. Con lui il rischio era vitale».

Che significa essere un sopravvissuto?

«Oggi a distanza di quasi trentun anni sono contento di essere sopravvissuto perché porto in giro per l’Italia e nelle scuole una verità scomoda, ma che va detta. Perché soltanto raccontando la verità, anche se scomoda, si possono formare diversamente i ragazzi di domani, quelli che ci rappresenteranno.

E questo è molto importante. Inizialmente ho sofferto tanto, perché sembrava che chi sopravvive viene messo nel dimenticatoio. In realtà è vero, questo Paese preferisce ricordare solo i morti. Dei vivi non sa che farsene. Se io mi ritrovo oggi a girare per le scuole per dire la verità, non devo dire grazie a nessuno. Ma devo ringraziare solo la mia grinta, la mia capacità, quella formazione che ho vissuto insieme a Falcone per otto anni. È solo a lui che devo questa realtà».

Cos’è per lei la Giustizia? E come è cambiata in merito la sua opinione dopo la strage di Capaci?

«Dopo Capaci, a distanza di tantissimi anni, la Giustizia si è presa il braccio armato della mafia. Ma la mafia ancora la dobbiamo individuare. Dico questo perché la settimana prima dell’attentato, Giovanni Falcone appena salì in macchina mi disse queste testuali parole: “è fatta, io sarò il Procuratore nazionale antimafia, ci organizzeremo a Palermo con l’ufficio e non ci muoveremo più con la macchina, ma con un piccolo elicottero”. Per me il movente della strage fatta a Palermo è dovuta a quella sua nomina.

Perché lui a Roma camminava senza scorta e se volevano potevano ucciderlo lì, senza fare questa strage a Palermo. La strage di Palermo è stata un depistaggio. Uccidendo Falcone a in Sicilia si poteva dire che era stata la mafia.

Quando invece ad ammazzare Falcone sono stati i colletti bianchi che hanno usato la mafia come braccio armato. Oggi abbiamo smantellato il braccio armato della mafia, anche se in ritardo, ma i veri colpevoli della strage di Capaci e di via d’Amelio devono essere ancora individuati».

Nonostante le tante iniziative messe in campo da istituzioni e società civile, le mafie continuano ad esistere. Quali metodi o strategie secondo lei potrebbero essere messe in atto per debellare le mafie una volta per tutte?

«Dopo tanti anni la mafia ha cambiato pelle. La mafia non è più quella che spara, che fa l’attentato. La mafia ha portato la sua prole a rappresentarci. Noi dobbiamo lavorare affinché le persone che scegliamo come classe dirigente siano persone corrette e non legate a vincoli di parentela o a determinati soggetti.

Questo, secondo me potrà avvenire solo con un cambio generazionale, preparando i nostri ragazzi alla legalità. Solo con un cambio generazionale possiamo sperare e cambiare questa società in meglio. Io ci spero».

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