MolFest, LE PAROLE D’ELOGIO E I RINGRAZIAMENTI DEL SINDACO MINERVINI SULLA 1°EDIZIONE DEL FESTIVAL
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Nato da un’idea di Nunzia Antonino, Annarita De Michele e Rossana Farinati, che ne sono anche le interpreti, “Kampai” si presenta per la prima volta al pubblico, giovedì 12 ottobre, alle 21, nell’ambito del festival Trame Contemporanee. Lo spettacolo è una nuova opera che tra teatro e danza indaga sull’umana finitezza.
Nei mesi della pandemia, nell’impossibilità di compiere i gesti intimi del commiato, si è avvertita più potentemente la mancanza di un tempo, di un luogo e di un atto condivisi per celebrare il passaggio.
Tracce di una ritualità perduta, con particolare riferimento alle nostre tradizioni, hanno animato il principio di questa ricerca che ha privilegiato il movimento e l’azione coreografica piuttosto che la parola, maturando via via la convinzione di quanto difficile per quest’ultima, per la parola, sia trattare quella soglia che partecipa alla vita dandole compiutezza, tanto da essere in alcune culture festeggiata.
Non a caso, il titolo Kampai include la k, richiamando l’esclamazione con cui i giapponesi brindano “alla vita” insieme all’aver campato, l’aver vissuto: obiettivo non scontato per nessuno.
Messo in scena da Carlo Bruni, a conferma di quel solido legame artistico che lo associa da tempo all’attrice Nunzia Antonino, il lavoro conferma quella prospettiva femminile che caratterizza il repertorio dei due artisti pugliesi (attualmente in tournee con Insight Lucrezia), allargando il confronto ai suggerimenti coreografici di Chiara Michelini, allo sguardo drammaturgico di Marianna De Pinto (coodirettrice artistica del festival che ospita questo debutto) e naturalmente coinvolgendo le forze che abitualmente si aggregano intorno a sistemaGaribaldi, a partire da Linea d’Onda.
Nel percorso, un ruolo fondamentale lo ha giocato la Residenza artistica di Nardò, complici Regione, Municipalità e compagnia Terramare Teatro. Parola difficile da pronunciare: Morte. Per dire che qualcuno è morto usiamo metafore che si riferiscono spesso ad una partenza, forse perché sembrano meno definitive: fanno immaginare un “ancora” presente per quanto invisibile.
«Dove ci incontreremo dopo la morte?» si chiede Ripellino, confermando l’ipotesi poetica di un altrove, diffusa anche fra chi non crede esista, per tollerare quella definitiva separazione. «Mia madre, come gli antichi greci, sapeva più di me, più di noi tutti ‘contemporanei’ cosa significhi essere mortali – dice Nunzia Antonino – mia mamma ha lavato i corpi di sua madre, di suo padre, e li ha vestiti a festa per quell’ultimo viaggio. Ha accolto il vuoto, facendo spazio dentro di lei come espressione di una consuetudine tramandata».
Così, come tramandati, codificati, sono i gesti e le parole delle donne nel pianto rituale salentino, evocato dal documentario Stendalì, di Cecilia Mangini. Una partitura ritmica, incalzante, incanala il dolore, lo “governa” nell’azione della piccola comunità di donne chiamate a rappresentarlo.
Le tre figure femminili che animano Kampai, disegnano quella minima geografia necessaria all’evocazione del commiato. Presenti: una vita addolorata, una morte prematura e chi, per volontà o “incarico”, ha il compito di custodirne la delicata relazione. No, non sono simboli ma persone, con quanto comporta a proposito di sentimenti, fragilità ed altro.
Vendita online al seguente indirizzo oppure direttamente al botteghino del teatro La Cittadella degli Artisti.
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