MolFest, LE PAROLE D’ELOGIO E I RINGRAZIAMENTI DEL SINDACO MINERVINI SULLA 1°EDIZIONE DEL FESTIVAL
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Invoca giustizia Mara Gargano, la mamma del piccolo Enea, deceduto lo scorso 28 dicembre nel reparto di Terapia Intensiva neonatale del Policlinico di Bari. Da quando ha visto morire il suo bambino, così amato e desiderato, la 38enne di Molfetta non si dà pace e pretende verità.
Venuto al mondo il 15 dicembre, dopo sette mesi di gestazione, Enea è spirato tra le braccia della madre esattamente tredici giorni dopo, il 28 dicembre, a causa di un’infezione da Escherichia coli contratta a seguito della nascita, come dimostrato dall’esame autoptico.
«La mia non è stata una gravidanza facile – spiega Mara Gargano – e l’11 dicembre, a causa di un’improvvisa emorragia, mi è stato consigliato il ricovero in Ospedale. Ho partorito dopo quattro giorni tra dolori lancinanti, dato che mi è stato anche negato il diritto a sottopormi volontariamente all’anestesia epidurale. Nonostante avesse sette mesi, Enea pesava due chili, respirava autonomamente e, come mi garantivano medici e sanitari, era perfettamente in salute. Nei giorni successivi il bambino si nutriva con il mio latte, era roseo e sereno. Metteva peso e si distingueva tra i neonati ricoverati in Terapia Intensiva, tanto da guadagnarsi il titolo di “gigante Enea”.
Ero in reparto ogni giorno, finché mi veniva concesso di stare al fianco di mio figlio. Il 24 dicembre sono rimasta fino a dopo mezzanotte, per passare il Natale con il mio bambino, che però iniziava a non stare bene. Gli avevano tolto il sondino per l’alimentazione e schiumava latte dalla bocca e dal naso. Mi hanno rassicurata dicendo che i bambini nati prematuramente hanno difficoltà a digerire il latte materno, cosa che fino a quel momento non era mai successa. L’indomani mattina trovo Enea in culla, non più in incubatrice, vestito con degli abitini non suoi. Era freddo e non riuscivo a riscaldarlo in nessun modo. Mi è stato detto che l’incubatrice serviva a un altro bimbo e che Enea poteva tranquillamente stare in culla.
Mi hanno consegnato la borsa con i vestiti del bambino e sono rientrata a casa. Quando ho aperto la borsa ho visto che i vestiti erano completamente sporchi di vomito verde, per cui io e il mio compagno siamo corsi in Ospedale. Enea vomitava di continuo e poco dopo è stato rimesso in incubatrice per far aumentare la temperatura corporea. Non era più roseo, aveva un colorito inquietante e non sembrava per niente in salute. L’infermiera cercava un medico che non si è mai trovato; siamo quindi stati invitati, dopo averlo allattato, a lasciare il reparto e mentre andavamo via il mio sguardo ha incrociato quello di Enea: chiedeva aiuto, ne siamo certi.
In serata siamo rientrati a Molfetta e quella è stata la notte più lunga e dolorosa della mia vita. Sapevo che Enea non stava bene e avevo il terrore di perderlo per sempre. Non ho chiuso occhio, ero sveglia quando all’alba è arrivato un messaggio dal Policlinico, in cui ci chiedevano di raggiungere l’Ospedale.
Quando abbiamo visto Enea era livido, attaccato alle macchine, perfettamente cosciente ma sofferente, tanto da non riuscire nemmeno a piangere e a lamentarsi. Gli ho tenuto la mano tutto il giorno, gli dicevo che presto sarebbe stato meglio, ma in cuor mio sapevo che lo stavo perdendo. Sono rimasta lì tutto il giorno, nonostante mi veniva chiesto di allontanarmi dal reparto. Intorno a mezzanotte i valori erano precipitati, ho chiesto all’infermiera se il mio bambino stesse morendo e mi ha risposto di sì. Ho chiesto di prenderlo in braccio e si è addormentato per sempre così, sul mio cuore trafitto da un indicibile dolore».
Mara Gargano racconta la sua tragica storia con grande coraggio, determinata a rendere di dominio pubblico quello che chiama senza timore di smentita l’ennesimo “caso di malasanità”. Racconta di festeggiamenti a base di Prosecco e biscotti durante la notte di Natale, quando il suo bambino ha iniziato a stare male, e di medici in servizio introvabili. Riferisce di non essersi sentita mai così maltrattata e abbandonata, di essere stata più volte etichettata come una mamma esageratamente premurosa e anche un po’ isterica.
«Ciò che mi ha profondamente ferito – continua Mara Gargano – è stata la mancanza di umanità. Nessuno mi è stato vicino durante il parto e immediatamente dopo, a cominciare dal mio ginecologo. Nessuno si è preoccupato dello stato di salute di Enea, figuriamoci del mio. Perciò, da quando il cuore del mio bambino ha cessato di battere, ho giurato a lui e a me stessa che avrei lottato per la verità. Voglio giustizia e farò di tutto per averla. Per questo ci siamo rivolti a uno studio legale di Milano, che ha svolto e seguito sinora la perizia di parte, da cui si evince chiaramente che l’infezione da Escherichia coli è stata contratta dal bambino in reparto, dopo la nascita e non durante il parto, come hanno cercato di farmi credere. È deceduto per shock settico a causa di un’infezione non grave, che avrebbe superato tranquillamente, se avesse avuto le cure adeguate».
Mara Gargano ogni giorno si reca sulla tomba del piccolo Enea ed è ancora alle prese con l’elaborazione del lutto più difficile da metabolizzare. È in psicoterapia e segue a distanza un gruppo di auto-mutuo soccorso per mamme che, come lei, sono state travolte dal dolore più grande: la perdita di un figlio.
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