CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE, VALERIA SCARDIGNO: «IL NOSTRO 25 NOVEMBRE È OGNI GIORNO»

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Molfetta. Presidente del CAV Pandora, Valeria Scardigno risponde alle nostre domande e traccia un resoconto su quanto accade a livello locale
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Senza parità di genere non c’è progresso, non è possibile affrontare e vincere nessuna sfida del nostro tempo. Un concetto, questo, che dovrebbe essere alla portata di chiunque, eppure le società contemporanee, anche quelle che crediamo più evolute, fanno ancora fatica ad abbandonare paradigmi culturali che attribuiscono all’uomo maggiore rilievo rispetto alla donna, a qualsiasi livello sociale. 

Nonostante il prezioso lavoro svolto dalle istituzioni, dalle organizzazioni di volontariato e dalle tante realtà vicine alle donne vittime di violenza, il divario tra i generi resta profondo.

A livello locale, un prezioso lavoro di supporto e sensibilizzazione lo svolge il CAV Pandora che, in appena cinque anni, ha compiuto nelle vite di tante donne vittime di maltrattamenti dei piccoli miracoli verso la loro indipendenza e integrità. In occasione della giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che ricorre oggi, sabato 25 novembre, ascoltiamo le parole di Valeria Scardigno, presidente del centro antiviolenza di Molfetta, intitolato ad Annamaria Bufi, 23enne brutalmente uccisa nella notte tra il 3 e il 4 febbraio del 1992, che risponde alle nostre domande e traccia un resoconto su quanto accade a livello locale.

Dall’inizio dell’anno, sono 106 le donne uccise per mano dell’uomo che hanno amato. Tra queste, molte giovani, come la 22enne Giulia Cecchettin. Cosa non funziona nel modello educativo attuale?

«C’è ancora poca attenzione nell’educare a una cultura paritaria e a una considerazione equa di uomini e donne. Citando un recentissimo brano di Vinicio Capossela, intitolato “La cattiva educazione”, che parla di “rifiuti a cui non si è abituati”, il vero problema sta appunto nella mancanza di cultura nell’educare al rifiuto, a quei famosi “no” che aiutano a crescere. È a questo che, in via generale, soprattutto i giovani di oggi non sono abituati. Così non riescono a gestire la frustrazione del rifiuto, di una separazione, di una relazione che si interrompe e rispondono in maniera estrema. La cultura patriarcale è ancora molto forte, non solo nel nostro Paese, ma anche in altri Stati europei».

A tre anni dall’introduzione del reddito di libertà, cosa è cambiato in merito alla dipendenza economica di alcune donne nei confronti del partner abusante?

«È una misura utile, purtroppo i fondi sono ancora insufficienti. Si riescono a soddisfare le esigenze di poche donne, rispetto alle tante che lo richiedono. Una cosa che abbiamo notato nella nostra esperienza, è che vengono tagliate fuori le donne che hanno superato i 70anni che, grazie alla recente opera di sensibilizzazione sul tema e alla presenza dei centri antiviolenza sul territorio, arrivano a chiedere aiuto anche in tarda età. Quindi, il fatto di potersi affrancare dalla dimensione violenta e di poter contare su una risorsa economica come può essere il reddito di libertà, ma anche di dignità, rappresenta un valido strumento. Garantendo 500 euro al mese alle donne in carico  ai centri antiviolenza, per cui è stato avviato un percorso di sostegno psicologico, legale, oppure abitativo, nel caso in cui ci sia la necessità di allontanarsi dall’abitazione familiare, si offre un supporto nettamente migliore. La libertà economica, innanzitutto, permette di progettare una vita diversa da quella vissuta prima».

Qual è il compito dei centri antiviolenza?

«La rete antiviolenza è fondamentale, perché le donne che si rivolgono ai centri non vengono lasciate sole, qualunque sia il percorso che decidono di intraprendere, che sia giudiziario, quindi legato a una denuncia penale o relativo alla separazione dal maltrattante, ma anche solo di ascolto. Il sostegno psicologico risulta importante anche laddove non si decida di separarsi dal maltrattante, perché comunque offre un’ottica e una prospettiva differente di vivere la relazione, o di rapportarsi con l’altro, non subendolo e, anzi, avere la possibilità, nella migliore delle ipotesi, di ristabilire un equilibrio paritario nella relazione. Riteniamo che il nostro lavoro proceda sempre meglio e lo vediamo dai numeri di accesso. Abbiamo iniziato a Molfetta con 60 accessi e a Giovinazzo con 5, oggi, dopo cinque anni di attività, solo per il 2023 contiamo su Molfetta 80 accessi e 30 a Giovinazzo. Ciò significa che la presenza sul territorio è fondamentale a garantire sostegno, che può tradursi anche in una semplice richiesta di informazioni. Inoltre stiamo osservando quanto diventiamo man mano sempre più un punto di riferimento per le giovanissime, che chiedono informazioni di tipo relazionale, sessuale, ponendoci qualsiasi domanda che possa essere utile alla loro crescita personale, dissipando ansie e preoccupazioni. Poi c’è da dire che il CAV Pandora, come tutti i centri antiviolenza, si occupa di fare sensibilizzazione nelle scuole e attraverso progetti rivolti alla cittadinanza e quindi anche e soprattutto al genere maschile. Puntualmente ci rendiamo conto di quanto alcuni uomini, che siano adulti o giovani, presentino delle strutture quasi “genetiche”, predisposte al patriarcato e a una immagine paternalistica della figura dell’uomo».

Perché è importante celebrare la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne?

«Lo è nella misura in cui è celebrazione generalizzata e c’è una mobilitazione internazionale. Purtroppo, però, si sta rilevando la tendenza a concentrare l’attenzione unicamente su questa giornata, quando noi sappiamo che invece il nostro 25 novembre è ogni giorno. La Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne rischia di diventare una retorica che accende i riflettori solo per un giorno all’anno. Fortunatamente questo non accade qui, come in altre realtà. Quest’anno poi questa importante ricorrenza ricade a margine di un omicidio , quello della giovanissima Giulia Cecchettin, che ha scosso profondamente la collettività e soprattutto le coscienze dei più giovani, suscitando molta rabbia. Ci auguriamo che quest’ennesima morte non sia stata vana e che possa costituire un esempio importante per spronare qualsiasi donna che si trovi in una situazione maltrattante a prendere coscienza e a reagire».

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