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MOLFETTA. Donne e mafia

Molfetta – Non è vero che i giovani non sono interessati alle tematiche sociali, all’attualità e ai suoi problemi,basta coinvolgerli, informarli e farli sentire protagonisti. Questo quanto dimostrato da una Sala Finocchiaro strapiena di ragazzi di vari istituti scolastici superiori di Molfetta che hanno partecipato all’incontro dibattito: “Donne e mafia – La scelta della legalità” promosso dalle Edizioni La meridiana, la Consulta Femminile del Comune di Molfetta e l’Azione Cattolica cittadina in prossimità della ricorrenza dell’otto marzo, festa della donna. Ad introdurre la serata il dottor Enzo Magistà, direttore di TgNorba molto contento di vedere una sala così piena di giovani e felice di essere a Molfetta, nella Sala Finocchiaro, personaggio di spicco della cultura e della politica a cui fu molto legato. Durante l’incontro, mirabilmente moderato dal giornalista, che ha inquadrato il territorio e le sue problematiche, si è discusso del ruolo ricoperto dalle donne nella mafia e le scelte di legalità che ne possono scaturire, se vi sono le condizioni. Il numerosissimo pubblico intervenuto, fra cui erano presenti, il capitano dei carabinieri della Compagnia di Molfetta, Domenico Del Prete e il Presidente regionale dell’Associazione Antimafia, Renato De Scisciolo oltre che tante insegnanti e persone impegnate nell’ambito civile, è stato letteralmente catturato dai racconti e dalle testimonianze del dottor Domenico Seccia, Procuratore Capo di Lucera e da Michela Buscemi palermitana, figlia e sorella di persone colluse con la mafia. Nell’occasione il procuratore Seccia ha presentato il suo libro “La mafia innominabile “in cui viene ricostruita la storia della mafia garganica, che egli stesso ha per primo indagato e studiato, in cui un ruolo anomalo e cruciale, spesso molto violento, è rivestito proprio dalle donne. Il procuratore ha spiegato che la mafia garganica, veniva negata, ecco perché innominabile, anche dalla stessa magistratura, veniva considerata una faida, una lotta tra pastori, cosa non vera. Ha poi illustrato la sua evoluzione, la difficoltà dei processi, la mancanza di leggi adeguate che agiscano anche sui patrimoni dei mafiosi e le tante sconfitte della magistratura. Anche trattando un argomento non facile, ha sempre parlato in modo chiaro e poco tecnicistico, ma formando sempre risposte alle sollecitazioni, cosa che ha disposto la platea a un ascolto molto attento. Commozione, fin quasi alle lacrime invece ha suscitato il racconto della signora Michela Buscemi, che pur non provenendo da una famiglia mafiosa, a causa della mafia ha perso due fratelli e una cognata che si è la sciata morire di inedia. Dal suo volto traspariva una forza di volontà non comune, ebbe infatti il coraggio di ribellarsi costituendosi parte civile al maxi processo contro la mafia nato dalle intuizioni di Falcone e Borsellino. Ha colpito anche la sua dolcezza, la ritrosia con cui a tanti anni di distanza ha raccontato i soprusi e i tentativi di violenza subiti dal padre, la maestria con cui ha recitato nel suo dialetto una poesia dedicata alla sconfitta della mafia. Questa splendida lirica, che racconta il suo sogno, per cui le brillavano gli occhi, è raccolta a conclusione del suo libro” Nonostante la paura”, uno spaccato di storia siciliana in cui si mette in luce la povertà della sua famiglia, il ruolo della madre, sempre incinta e che demandava a lei la crescita dei fratelli, il desiderio di Michela di studiare e di uscire dalla miseria accettando , tutti i lavori, anche quelli più umili. Il dottor Magistà ha stimolato i due relatori nei rispettivi campi di competenza facendo emergere la differenza fra i due tipi di mafia, cercando di fornire risposte della società civile per combattere o almeno limitare il fenomeno, ribadendo l’importanza della formazione delle nuove generazioni improntata al rispetto degli altri e delle leggi. Il procuratore ha auspicato una legislazione più snella, pene detentive più certe, la possibilità di rivalersi sui patrimoni per combattere i fenomeni criminali. Ha poi ampiamente illustrato il ruolo decisivo e da protagoniste assunto dalle donne in grado di prendere decisioni e far parte a pieno titolo dell’associazione mafiosa. Solo l’amore di madre, la possibilità di non vedere più i suoi figli, spingerà una delle donne mafiose più emblematiche del Gargano, Rosa Lidia Di Fiore a collaborare con la giustizia. Una serata densa di spunti di riflessione che ha voluto al di là dei soliti festeggiamenti, e delle mimose, ormai obsolete, mettere al centro la donna in maniera costruttiva e impegnata esaminandola a trecento sessanta gradi come: figlia, madre, collaboratrice di giustizia, giovane violentata, nonna realizzata e felice come lo è oggi Michela Buscemi.

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